La fine della strada

Ci metti circa 30 secondi ad innamorarti dell’End Of The Road. Ti basta arrivare, farti dare il braccialetto, acquistare il programma e guardarti intorno ammirando lo splendido paesaggio circostante. Ed è subito amore vero, di quelli che poi si solidificano man mano che si svelano gli altri punti di forza di questo luogo incantato. La comodità di potersi spostare ovunque in pochi minuti, viste le ridotte dimensioni della location. I bagni molto più confortevoli di quelli che trovi normalmente nei festival, con addirittura il dispenser di liquido igienizzante in ognuno. La bontà delle birre, vere ale inglesi, che per di più ogni giorno cambiavano, del sidro del Somerset, e anche quella del cibo, magari non altissima in senso assoluto ma molto migliore di quella che si trova agli altri festival. La bellezza esagerata del palco principale, che si trova su un lato di un vero giardino capace di contenere 3mila dei 5mila partecipanti totali. La bellezza anche più che esagerata del boschetto situato al lato del giardino, tutto illuminato e con punti per rilassarsi seduti sull’erba, o sui divani, più la chicca della riproduzione di una salotto con un piano che chiunque può mettersi a suonare, e con chiunque intendo anche i gruppi in programma, al di fuori del concerto istituzionale, e senza che si sappia quando e se questo succederà, e con i gruppi intendo per esempio… lo vedremo dopo. Il boschetto, dicevo, con un’area per giochi tipo calciobalilla, ping pong, forza 4 e altro, tutto a disposizione della gente.
Già, la gente. Quando la gente arriva l’amore di cui sopra si solidifica ancora di più. Gente tranquilla, età media almeno sui 30 anni, ma perché ci sono adolescenti, adulti della nostra età e di un’età molto più avanzata, che si sono portati dietro la famiglia coi bambini. In Italia non è nemmeno concepibile che un padre ed una madre decidano di portare i propri marmocchi a un weekend dove si ascolta musica tranquilla e di qualità liberi di giocare nei prati intanto che i gruppi suonano, e nemmeno che un ventenne vada a un festival col proprio padre, qui invece di casi del genere ce ne sono a iosa. Un signore olandese, mio vicino di tenda, è venuto da solo in auto da casa sua, è partito alle 2 di notte. Ci vede che giochiamo a carte, viene da noi e ci offre un bicchiere a testa dalla sua bottiglia di whisky. La gente è tranquilla e socievole, un altro signore nota felice ma mia maglietta degli Smiths (semicit.) mi fa i complimenti e ci mettiamo a parlare, lui gli Smiths li ha visti nell’85, al tour di Meat Is Murder. E nel 2009 è ancora qui, con suo figlio ventenne, appunto. Una signora con marito e figli ci chiede “da che zona della Spagna venite?” No, siamo italiani, ci mettiamo a parlare di musica, le faccio i complimenti per la sua maglietta dei Wilco, le dico ho già il biglietto per la prima fila del concerto di Milano, lei mi bacia sulla guancia e dice “wow, un uomo con gusto”. Ah, ovviamente ai concerti, anche quelli acustici con mille persone svaccate sul prato, si parla lo stretto indispensabile, il rispetto per l’artista prima di tutto.
Il clima è così familiare che ci si mette a chiacchierare con l’organizzatrice che gira tranquilla tra gli stand, e ovviamente anche con svariati artisti che passeggiano tra la gente o che comunque si fermano a vendere cd e magliette subito dopo il proprio concerto. La mattina prima dell’inizio dei concerti la trascorro nella Cinema tent a vedere bellissimi film di animazione, l’ultimo giorno chiacchiero brevemente con una ragazza carina, purtroppo però non fa parte del pubblico ma lavora ad uno stand, fa il caffè allo stand delle pizze e non può fermarsi a chiacchierare perché deve andare al lavoro. Passo qualche ora dopo per risalutarla, sai mai che poi fa pausa e riesco a chiacchierarci meglio. Non c’è, ripasso dopo un po’, non c’è, e un’altra volta ancora niente. La becco a mezzanotte, purtroppo le pause le ha fatte tutte, finisce alle 2 e io non ho affatto le energie per proporle un giro a quell’ora, riesco a farmi dire di dov’è e come si chiama, lei mi dice “it was lovely to meet you” e io me ne vado con un pugno di mosche. E’ di Brighton, chissà se la incontro quando torno al Great Escape.
In un posto del genere ci metti un attimo a dimenticarti il motivo per cui sei lì, ovvero ascoltare i concerti. Soprattutto il primo giorno ti senti talmente nel paese dei balocchi che vuoi comprare tutti i cd che vedi, vuoi bere tutte le birre ed il sidro a cui passi di fianco. Di concerti interi il primo giorno ne ho visti 3, poi è stato tutto un vagare tra un palco e l’altro a respirare il più possibile l’unicità dell’atmosfera, a comprare cd e a bere birra e sidro come se piovessero. La sera faccio un giro nell’area giochi del bosco, c’erano tre signori ultracinquantenni che stavano giocando a quel giochino dove c’è una torre fatta con i bastoncini quadrati e a turno se ne toglie uno e lo si  mette in cima senza far cadere la torre. Mi dicono se voglio giocare e al secondo giro ho un pubblico che mi guarda, rischio di sbagliare ma per fortuna ce la faccio e un altro sbaglia prima di me.
Questo mio post potrebbe anche finire qui, potrei anche non parlare dei concerti, tanto la buona riuscita del weekend già si capisce. Ma in fondo la visione dei concerti ha occupato la maggior parte delle mie giornate, almeno la secona e la terza, quindi è giusto dire due parole. Il podio è formato com’era prevedibile, di tre nomi più di richiamo presenti, ovvero Okkervil River, Fleet Foxes e Shearwater. Degli Okkervil si sapeva, i Fleet Foxes, che non avevo mai visto, mi hanno sorpreso con un concerto di spessore autentico, gli Shearwater hanno rispettato in pieno le altissime aspettative date dall’ascolto dei dischi e della provenienza del loro leader, guarda caso ex Okkervil River. Difficile scegliere il migliore fra i tre concerti, gli Okkervil però vincono grazie al concerto nel boschetto. Sì, perché uno dei due concerti che abbiamo avuito la fortuna di vedere in quella location magnifica di cui dicevo è proprio loro (l’altro è degli splendidi Leisure Society): la domenica, ovvero il giorno dopo il concerto istituzionale degli Okkervil, fermiamo una ragazza con la loro felpa per chiedere dove l’avesse comprata e lei no, non qui, ma siete loro fans? Suonano alle 3 e 45 dove c’è il pianoforte. Poter vedere un gruppo come loro in una situazione così intima, senza amplificazioni ma solo il suono di chitarre acustiche, pianoforte, tamburello, tromba e voce: ditemi voi se anche solo per questo, non sto parlando del miglior festival possibile.
Al quarto posto, indiscutibilmente, i Dirty Projectors, che hanno mostrato di avere anche live le potenzialità per fare moltissimo ed essere un nome di quelli che resta e non una meteora. Quinto e sesto posto per le due rivelazioni personali, ovvero gruppi che non conoscevo: i Leisure Society, appunto, californiani, se ricordo bene, alfieri di un folk bucolico, ovvero pieno di flauto traverso e pianoforte e archi di vario tipo, e The Talest Man On Earth, cantautore svedese, in realtà bassissimo, da solo con voce e chitarra ed uno stile molto dylaniano e soprattutto dei pezzi di un’efficacia micidiale. Da citare tra i migliori anche Brakes e Dodos, entrambi concerti ad alto contenuto energetico, seppur in modo diverso, e capaci di coinvolgere il pubblico. Volendo arrivare alla top ten sceglo gli ultimi due in base a quanto ne ero fan già prima, e quindi non posso non dire Darren Hayman e The Boy Least Likely To.
Dirò poi in ordine cronologico quali concerti ho visto per intero o comunque per una buona parte e mi sono piaciuti: Mummford & Sons, Dent May, Alela Diane, Magnolia Electric Co., Aladsair Roberts e Hold Steady. Di  quelli che ho visto per pochissimo tempo mi sono piaciuti i Lost Brothers, che mi hanno convinto a comprare il cd con solo due canzoni ascoltate. Sui Low Anthem non riesco ad esprimere un giudizio, nel senso che hanno molto fascino ma non so se ascolterei un loro disco per intero. I nomi che non mi sono piaciuti, che poi non è che facessero schifo, è che per un motivo o per l’altro non mi hanno pienamente convinto, non li dico nemmeno, chissenefrega. Ah, qualcuno si chiederà e gli Horrors? Si sono dati malati poche ore prima di quando era in programma il loro concerto. Qualcuno di noi ha detto che magari l’hanno fatto perché si sono resi conto che c’entravano come il 91 al lotto in questo contesto, magari erano ammalati veramente però, chi lo sa, e soprattutto chissenefrega anche qui, io non li avrei visti, erano in mezzo oa Okkervil e Fleet Foxes, figuriamoci.
Alla fine la tristezza di dovertene andare ti prende già la domenica sera, anzi quasi quasi il lunedì mattina ce l’hai già di meno, tanto già lo sai che tra un anno sarai ancora qui. Perché, almeno per quanto mi riguarda, nel 2010 io sarò ancora lì, ai Larmer Tree Gardens, nel Dorset, per il miglior festival a cui si possa andare.

Pubblicato il settembre 14, 2009 su Uncategorized. Aggiungi ai preferiti il collegamento . 7 commenti.

  1. uau, bello sto festival, anzi mitico! Mi hai fatto venire voglia di andacce.

  2. Ma Hayman ha fatto anche canzoni degli Hefner?

  3. Due, entrambe b sides contenute in Boxing Hefner, una era I Will Make You Love Me, dell’altra non ricordo il titolo purtroppo…

  4. Uhm, si è sprecato eh…

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