Stavolta Messina è indifendibile, ma cambiare non servirebbe a niente

L’anno scorso mi ero dilettato a scrivere un post in difesa di Ettore Messina, nel quale spiegavo che diversi giocatori avrebbero potuto e dovuto fare di più per aiutarsi a uscire dalle difficoltà, e che non poteva essere solo colpa dell’allenatore. Nel prosieguo della stagione, il coach ha aiutato lui uno di questi giocatori (Voigtmann) e Tonut si è aiutato da solo togliendosi la timidezza iniziale, così, anche se Pangos e Thomas hanno continuato a non aiutarsi, è bastato l’innesto di un portatore di palla vivace come Napier e le cose sono migliorate. Quest’anno, la situazione è ancora più complicata, e purtroppo, stavolta, Messina è assolutamente indifendibile.

Questa mia affermazione vale non tanto per ciò che sta facendo da allenatore, ma per come ha agito nella sua qualifica di President of basketball operations. Le basketball operations dell’ultima offseason, infatti, sono state una tragedia dietro l’altra, e il President delle suddette operations non può che essere il primo responsabile. Nell’ordine: non si è avuto il coraggio di dare a Pangos ciò che legittimamente chiedeva per liberarsene e prendere al suo posto un Darius Thompson che avrebbe fatto decisamente più comodo; non è stato preso, ma da quello che sembra nemmeno cercato, un esterno capace di fare ciò che fa Shields, ovvero avvicinarsi al canestro attaccandolo frontalmente partendo da fermo, e nemmeno uno capace di fare ciò che faceva Datome, ovvero isolarsi in post alto e tirare sopra la testa di chi lo marca; è stato, invece, sovraffollato il reparto lunghi, confermando Hines e prendendo Poythress, due giocatori che non possono coesistere non solo in campo, ma proprio all’interno di un roster di alto livello. Inoltre, come sempre, sono stati presi degli italiani promettenti solo per fare numero e togliere loro ogni fiducia in sé stessi lasciandoli languire in panchina.

L’unica scelta sensata è stata quella di non dare due milioni e mezzo annui a Napier, perché è vero che ha aiutato a migliorare la situazione, ma non vale assolutamente quei soldi.

Al culmine di tutto ciò, è arrivata la mossa che ha rotto ogni equilibrio, nel senso di equilibrio del roster stesso e delle dinamiche a esso collegate. È stato preso Nikola Mirotic, fenomenale attaccante ma in un ruolo in cui, per farlo giocare, si sarebbero dovuti togliere minuti a Voigtmann e Melli, ovvero due dei pilastri della squadra, e intanto nel reparto esterni non c’era più la tipologia di contributo che ti dava Datome e nemmeno un cambio all’altezza per avere ciò che dà Shields quando lui non è in campo, oltre alla presenza di un playmaker titolare che non c’entra niente con l’idea di basket del coach, nonostante egli sia la stessa persona che ha agito come POBO.

Gestire un roster così è un vero e proprio rompicapo, è evidente, e lo sarebbe per chiunque. Nel senso che o fai giocare ognuno solo nel proprio ruolo, togliendo però minuti a giocatori importanti, oppure fai in modo che il numero dei minuti che dai a ognuno sia direttamente proporzionale all’importanza del giocatore, ma così ne fai giocare almeno due fuori ruolo, ovvero chiedendogli cose che non è in grado di fare non per via delle caratteristiche specifiche del giocatore, ma proprio per via di quelle del ruolo che gli fai occupare.

Messina ha provato a iniziare la stagione cercando un mix equilibrato tra le due soluzioni, ma, nel prosieguo, ha virato decisamente verso la seconda, sia perché ha capito che con Pangos non c’è niente da fare, sia perché l’infortunio di Baron si è rivelato molto più serio di quanto sembrava inizialmente. Mettiamoci anche che il coach non è uno da concedere seconde o terze chance a chi, durante le singole partite, non mostra di essere adatto alla causa, ed ecco che circa metà dei giocatori gioca o troppi minuti nel corso delle singole gare, o non occupa il proprio ruolo in campo. In entrambi i casi, la perdita di energie fisiche e mentali è, fisiologicamente, più rapida del dovuto, e si arriva all’ultimo quarto con pochissima carica rimasta.

L’esempio migliore è proprio quello dell’ultima partita contro la Virtus, nella quale Shields e Lo hanno giocato bene per un po’ e poi, nella frazione conclusiva, hanno fatto gli spettatori in difesa. Questo è successo perché i due non hanno avuto sostituti credibili, quantomeno nella metà campo offensiva, e hanno quindi dovuto giocare tantissimo (per sicurezza ho controllato e sono stati i due più utilizzati). Ma perché Flaccadori, Hall e Tonut non sono stati utili alla causa? Perché, contro difese di alto livello, non hanno il talento individuale e le caratteristiche per costruirsi soluzioni offensive da soli, ed è questo, invece, che Messina vuole dai propri esterni, o magari non lo vuole esplicitamente, ma il suo playbook non lascia ai suddetti esterni altra scelta. Tonut ai Mondiali se le costruiva eccome le soluzioni, ma in un sistema diverso che permette ai giocatori di partire più di rincorsa, e Hall il primo anno era efficace, ma solo perché un po’ non lo si conosceva, e un po’ perché dal perimetro c’erano pericoli più seri per le difese avversarie, le quali si dovevano concentrare su di essi.

Vabbè, uno potrebbe dire, siamo un po’ corti sugli esterni, ma abbiamo un ampio arsenale nel reparto lunghi. Ma in realtà, nel basket di oggi, se non fai succedere qualcosa di importante sul perimetro, il gioco non si sviluppa e per le difese avversarie è troppo facile tenere a bada chi occupa gli spazi più vicini al canestro. Quante volte, infatti, abbiamo visto in questa stagione la palla che gira senza costrutto e poi passaggi cervellotici sotto canestro che si tramutano in palle perse? Non è più come una volta che io portavo palla e se volevo appoggiavo subito al lungo, o meglio, posso provare a farlo, ma le difese di oggi sono strutturate in modo che questa scelta non rappresenti affatto una situazione pericolosa.

Solo che, per far succedere qualcosa sul perimetro, devono essere tre i giocatori che si adoperano a questo scopo, e se uno dei tre in realtà o è un lungo di ruolo, o non ha pericolosità offensiva, le difese avversarie possono permettersi un approccio più attendista, visto che è molto più difficile per l’attacco creare vantaggi. A quel punto, lo Shields o il Mirotic di turno riescono comunque a fare canestro in virtù del loro talento individuale, magari un Lo può, come ha fatto nell’ultima partita, sfruttare gli scarichi per colpire da fuori, ma questo super lavoro lo pagano sia in difesa, che in termini di mancanza di lucidità nei momenti decisivi.

Messina si è lamentato del fatto che, proprio quando la difesa avrebbe dovuto dare il massimo, si è invece sciolta (31 punti subiti negli ultimi 10 minuti, di cui 17 dal sesto esterno avversario dal punto di vista delle gerarchie). Ha detto che sono almeno sei le partite che abbiamo perso in questo stesso modo. Dicendo così, sembra che addossi le colpe ai giocatori, ma le colpe non sono né dei giocatori, e nemmeno del coach, che deve gestire una squadra costruita in modo così demenziale. La colpa è di chi l’ha architettata, questa costruzione, e, incidentalmente, si tratta della stessa persona che ha anche il compito di fare il coach.

Per questo non è più possibile difendere il President of basketball operations Ettore Messina, e non gli può più essere affidata la costruzione della squadra. E poiché è impensabile, visto il peso del personaggio, che egli possa rimanere come coach e accettare di allenare una squadra costruita da altri (del resto aveva detto di aver lasciato la NBA proprio per via della possibilità di ricoprire il doppio ruolo), a fine stagione deve essere mandato via, senza se e senza ma. Adesso, però, la squadra è talmente sballata a livello strutturale che se anche arrivasse Phil Jackson e al gruppo di giocatori si aggiungesse il Magic Johnson degli anni Ottanta, non servirebbe a niente. È inutile invocare le dimissioni o riassumere tutti i problemi con la mancanza di un playmaker all’altezza. I problemi sono molti più numerosi e, purtroppo, non risolvibili, e Messina si merita di essere schiacciato fino in fondo dal peso dell’umiliazione che questa stagione rappresenterà per lui, per i giocatori e per la storia stessa dell’Olimpia Milano. Che se ne resti lì fino alla fine, a ingoiare i bocconi amari che del resto si è preparato lui, non sarebbe giusto per nessun altro dover trangugiare un piatto cucinato così male, e non sarebbe nemmeno utile a nessuno. Questa stagione disgraziata è un male inevitabile e necessario, che deve servire come monito a chi verrà dopo, a imperitura memoria che il basket non è più quello di 25 anni fa e che le squadre devono essere costruite con un senso e non a capocchia di cazzo.

Pubblicato il novembre 15, 2023 su Uncategorized. Aggiungi ai preferiti il collegamento . Lascia un commento.

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